Già dal 1600 Bitonto ha vissuto esperienze di cultura teatrale, soprattutto negli edifici pubblici come l’Episcopio, adibito spesso a feste nuziali. I “trappeti” e le gallerie dei palazzi erano adornati da arredatori e utilizzati per le scene rappresentate per diletto del popolo. A vivacizzare il tutto vi erano accademie preparate in questo senso. Ricordiamo per esempio Logroscino (bitontino) che, nella prima metà del ‘700, avviò una cospicua produzione operistica comica durante il regno di Carlo III di Borbone.
Il ‘700 vede la nascita di vari teatri stabili in terra di Bari tra il 1745 e il 1748; a Foggia nel 1770; a Trani nel 1722; a Barletta tra il 1745-1748; a Lucera nel 1759 e San Severo nel 1764.
Nel XIX secolo si diffonde l’idea di partecipazione collettiva che dà la spinta definitiva per la costruzione di teatri anche in altre città garantendo in questo modo un aumento dei posti di lavoro. Dal 1830 in poi le piccole e grandi città, che ne erano prive, si dotano di un teatro. A Bitonto nel 1835 matura il desiderio di un teatro stabile grazie anche all’interessamento di 21 famiglie nobili che, a proprie spese, vogliono dotare la città di un «teatro comodo e ben disposto pel sollazzo del pubblico». Ottenuta l’autorizzazione e l’approvazione del progetto dal re di allora, Ferdinando II, la Società acquistò il suolo da don Michele Ambruosi su quella parte di mura asburgiche, che comprendeva un giardino pensile. Mentre per palazzo Pannone-Ferrara le mura della città vengono abbattute, per il teatro, al momento dell’erezione, viene sfruttata, come un lato del perimetro, proprio una parte di mura. Anche l’edificazione del Teatro rientra nell’ondata di innovazione della città che pervade Bitonto sin dai primi anni dell’800.(1)
L’autore del progetto originario è sconosciuto, mentre sono noti i suoi costruttori: i fratelli bitontini Emanuele e Pietro Sannicandro; la costruzione costò 8.500 ducati.
Il prospetto si presenta suddiviso in due ordini con un bugnato liscio nel livello inferiore e un intonaco a bugne nella parte superiore. Qui alle finestre si alternano nicchie, che contenevano i busti di Jommelli, Paisiello, Cimarosa e Rossini, andati perduti, mentre i medaglioni rappresentano Alfieri, Maffei, Metastasio e Goldoni.
Nonostante le ridotte dimensioni, il teatro riproponeva la forma all’italiana e conteneva tre ordini di palchi (suddivisi tra gli azionisti/nobili della Società) e la piccionaia, una platea e un palcoscenico molto ampio, ed erano previsti anche i locali per la polizia. Questo fa pensare che l’edificio e l’istituzione in sé non fossero di second’ordine.
Originariamente assunse il nome di Teatro Privato, poi mutato in Teatro Nuovo, Teatro Ferdinandeo, Teatro Umberto I. Oggi Teatro Tommaso Traetta.
A causa delle ridotte dimensioni i primi tempi furono caratterizzati da numerose repliche che, nel corso degli anni, si ridussero a poche e solo in alcuni giorni dell’anno. Ormai in declino, nel 1950 fu trasformato in cinema e poi chiuso. Negli anni ‘70 le intemperie e le infiltrazioni di acqua provocarono il crollo del soffitto e la completa distruzione degli arredi.
Con il finanziamento dei lavori alla fine del ‘900, il Comune di Bitonto ne diventa proprietario. Nel corso dei restauri vengono riportati alla luce numerosi reperti archeologici, quali la porta Cupa (biglietteria) e le mura medievali con torrione molto simile a quello nel pressi di porta Baresana.
Nel 2003 venne nominato direttore artistico Michele Mirabella, mentre la riapertura ufficiale, avvenne il 16 aprile 2005, 167 anni dopo la prima inaugurazione con la messa in scena de Il Cavaliere Errante, opera eroicomica in due atti del 1778. Con la riapertura, il consiglio comunale ne deliberò l’intitolazione al musicista bitontino Tommaso Traetta.
(1) Abbattute le mura e alcune porte della città (Robustina, Pendile, Nova), il nuovo terzo ceto, ossia la nascente borghesia, fatto di professionisti e commercianti, cominciò a stabilirsi sulle cortine del corso e sulle radiali verso Giovinazzo (via Matteotti) e Bari (corso principale). Sul rettifilo dello stradone si trasferisce il nucleo della borghesia bitontina, che, in parallelo con la storia nazionale ed internazionale, sarà la vera protagonista della sfera economica e politica della nuova società, cambiando il volto della città stessa.