La casa fu edificata nel XVI sec. dalla famiglia Santorelli. Essa si affaccia su due corti medievali, Corte Fione e Arco Mastromarino e le originarie strutture medioevali risultano sicuramente inglobate nella complessa costruzione. Soprattutto Corte Mastromarino mostra chiaramente gli impianti medievali della zona (1) dove possiamo notare una tipica casa-torre, che custodisce sulla parete esterna una lunetta con scene di vita quotidiana. In realtà il palazzo non aveva l’affaccio dove è attualmente, poiché quello sorge nel momento della riqualificazione urbanistica del XVI-XVII secolo, bensì sulle due corti che sfociano su strada San Francesco.
La casa-palaziata apparteneva alla famiglia dei patrizi bitontini Santorelli, emergenti sino a tutto il XVI secolo, e la storia dell’ampliamento ha inizio grazie a Jannotto de Santorelli (2), figlio di Nicola e Filippa Rogadeo, il quale ricoprì la carica di sindaco di Bitonto nel 1450.
Alla fine del Quattrocento Jannotto era molto noto a Bitonto, sia per le sue attività commerciali, che politiche e si hanno notizie che nel 1489 era in possesso di varie strutture edilizie. Infatti, allorquando Giovanna Santorelli, ultima componente della famiglia, sposò Nicolò Labini, oltre alla fusione dei due casati nobiliari, si implementò l’originaria casa con un sostanziale ampliamento. Questi lavori sono testimoniati da uno stemma lapideo risalente al 1668, raffigurante una palma, un ramo di olivo e una stella in alto che proietta la sua luce su tre monti. Questo stemma è tuttora visibile sul terrazzino. Negli antichi atti catastali è menzionato il complesso palaziato situato nei pressi di strada San Giacomo.
In una Platea risalente al 1685/1687 è menzionato Giovanbattista Labini come proprietario del “palazzo” vicino la chiesa di S. Francesco, anche se la costruzione mantiene l’antico nome della famiglia che ha principiato l’edificazione, ovvero Santorelli. Abbiamo notizie certe riguardo al fatto che venne demolita l’antica facciata rinascimentale per costruirne una nuova, poiché vengono spesso citati i capimastri promotori di tale iniziativa, i fratelli Domenico e Nicola Valentino, famosi all’epoca e addirittura in rapporti con il famoso architetto Vanvitelli. Essi propongono di costruire una facciata più alta (palmi 24) sulla pubblica strada e abbellirla con un piccolo portale “d’opra quadra liscia, seu di dentatura scarsa” con uno stemma araldico ed all’interno, una scala ricoperta in pietra. Venne così realizzata una facciata di stampo borrominiano, su tre livelli, con un fronte che custodisce un portale ad arco ed un mignano (balcone) su cui è posizionato lo stemma della famiglia Santorelli, (raffigurante un leone rampante con fascia obliqua e tre conchiglie)
La struttura cinquecentesca è inglobata nella nuova, viste le tracce e testimonianze pittoriche, come l’effigie della Madonna con bambino, una icona risalente al XVI sec., che risulta essere reminiscenza del dipinto conservato nella Chiesa del Carmine, raffigurante S. Maria Stella Maris.
Molteplici furono i lavori successivi.
Nel 1750 venne edificata una cappella interna. Essa è nascosta nel muro e due porte ne celano la presenza. Un originale altare realizzato in stucco e decorazioni legate ancora al linguaggio barocco, contraddistinguono l’opera.
Alla stessa epoca risale la decorazione della mostra di finestra, in stucco e dal linguaggio articolato di ascendenza vaccariana che si affaccia sul cortile.
Interessante, inoltre, il dipinto ad encausto realizzato sul muro dello stesso cortile raffigurante la madonna Assunta. Tale dipinto è riferibile alla bottega del pittore di Molfetta, Vito Calò, della scuola del Giaquinto.
Nel XIX sec. una parte del palazzo a piano terra venne venduta alla famiglia Giannone de Majoribus, proprietaria dell’edificio adiacente e di questo passaggio di proprietà è testimonianza lo stemma con il giglio e la rosa divisi da una banda obliqua.
Probabilmente qualche locale dell’edificio fu, in seguito, proprietà di un sacerdote, don Francesco Antonio Labini, come testimoniato dal catasto del 1815, e questi locali poi vennero ereditati dalla famiglia Labini che nel frattempo si era unita al ramo Sylos con il matrimonio di Lucrezia con il capitano Giovanni Sylos (1750/1817) . Ottocentesca è la sistemazione della scalinata all’interno del cortile, che unisce il piano terra al piano superiore, che sostituisce la vecchia scala. Evidente però l’impostazione in pietra della originaria scala con balaustrini lungo la parete destra, dove si intravedono due bassorilievi che ricordano quelli di Palazzo Bove.
In seguito il palazzo venne acquistato da altre famiglie, come ad esempio la famiglia Fione, che provvide ad ampliare l’edificio e a procurare un affaccio in piazza Morosini, invadendo lo spazio stradale, e probabilmente trasformando il vecchio “gallinaio”, a ridosso del portale al primo livello, in un terrazzino. In seguito la famiglia Ferrante promosse lavori di ristrutturazione ampliando le superfici, creando ambienti di servizio e provvedendo alla sostituzione dei pavimenti, all’abbellimento delle pareti. Secondo la moda ottocentesca, le pareti vennero decorate da pitture a tempera con soggetti vari, come le quattro stagioni, realizzati da pittori locali, forse i maestri della scuola serale di disegno di Bitonto.
Dopo gli anni ’50, estintisi i Ferrante, l’edificio fu dato in affitto a famiglie di prestigio ( es. Tommaso Pazienza, preside del Liceo classico di Bitonto e in seguito del Liceo Flacco di Bari).
Oggi il palazzo è di proprietà della famiglia Gesmundo. Attualmente è sede di un bed and breakfast.
(1)Tutta la zona a partire dal XII e per tutto il XIII secolo fu interessata da un nuovo sviluppo urbanistico con l’edificazione di nuovi edifici per la maggior parte case-torre e curtis tipiche del Medioevo. Su queste, nel XVI secolo dopo la costruzione della rete fognaria nel centro storico e l’innalzamento del livello stradale, si ha l’ampliamento e sopraelevazione degli edifici già esistenti.
(2) Jannotto de Santorelli fu il munifico donatore dell’area in cui sorse il complesso conventuale del Carmine. Nel 1503 con atto notarile lascia erede universale di tutti i suoi beni l’istituto conventuale. Sino al 1598 le sue spoglie erano collocate nella chiesa di San Francesco, poi furono traslate nella chiesa dei Carmelitani.